“LUNGO LE RIVE DEL SILE”
TESTIMONIANZE DELLA GRANDE GUERRA
PREFAZIONE (testi e foto di Antonio Melis)
“… e dove Sile e Cagnan s’accompagna, tal signoreggia e va con la testa alta, che già per lui carpir si fa la ragna”.
Così Dante Alighieri nella Divina Commedia – Paradiso – Canto IX, citava il Sile parafrasando le caratteristiche caratteriali di Rizzardo da Camino allora Signore di Treviso.
Il fime Sile nasce da varie risorgive tra Casacorba di Vedelago in provincia di Treviso e Piombino Dese in provincia di Padova e scorre per circa 90 chilometri, attraversando il capoluogo della Marca e la Laguna di Venezia fino a sfociare nel Mare Adriatico tra i comuni di Jesolo e Cavallino Treporti. Lungo il suo tragitto il Sile tocca località quali Quinto di Treviso e San Cassiano da dove Francesco Baracca decollava con il suo aereo e dove fu sepolto per una notte prima che la sua salma fosse trasportata a Lugo di Romagna. Treviso città che dalla fine del ‘700 e durante tutto il secolo scorso fu testimone prima del passaggio degli Austriaci e successivamente delle truppe francesi al comando di Napoleone Bonaparte. I francesi, conquistato il Veneto con le armi e i trattati, intervennero nella sistemazione urbanistica di Treviso trasformando numerosi conventi, appartenuti ai soppressi ordini religiosi, in caserme. Durante il primo conflitto mondiale, Treviso divenne il centro nevralgico dello schieramento italiano dopo l’assestamento della linea difensiva sul Piave, difesa dal “Campo Trincerato” che l’avrebbe protetta dall’eventuale sfondamento della linea del Piave. In città e nella sua periferia, ricca di ville venete, trovarono sede i comandi di vari grandi unità tra cui la Terza Armata e per un certo periodo anche lo Stato Maggiore del Re Vittorio Emanuele III.
I trevigiani in fuga dalla città furono imbarcati a S.Ambrogio di Fiera su burchi da 200 persone. Nei primi giorni di novembre saranno circa 4000 i profughi che scenderanno in questo modo il Sile per raggiungere Chioggia e poi Ferrara e le altre destinazioni dell’interno.
Lo scrittore americano Ernest Hemingway citava il Sile sul suo “Di là dal fiume tra gli alberi” quale parte integrante del sistema difensivo legato al “Campo Trincerato” di Treviso: “Per gli austriaci era necessario cercare di sfondare nel settore dove il Sile e il vecchio letto del Piave erano le sole linee di difesa. Avere il vecchio letto del Piave significava avere il Sile per ripiegare se la prima linea non teneva. Di là del Sile non c’era che una pianura liscia e una buona rete stradale nella pianura veneta e le pianure della Lombardia, e gli austriaci continuarono ad attaccare e attaccare
e attaccare per tutto l’inverno, cercando di arrivare a questa bella strada dove loro passavano adesso, che portava direttamente a Venezia”.
Il corso del fiume e l’itinerario qui proposto, proseguono verso Casale sul Sile dove il giovane americano Harvey Ladden Williams II prestò servizio come autista di ambulanze nell’American Red Cross.
Da qui si prosegue verso Portegrandi di Quarto d’Altino, dove il Sile sfociava prima che la Serenissima nel 1683 deviasse il corso del fiume tramite il canale Taglio del Sile.
In prossimità di Portegrandi, in località Trepalade, si trovavano due ex ospedali militari dove venivano trasportati i feriti dalla prima linea. Il percorso si sviluppa fino a Musile dove il Sottotenente Pellas, Medaglia d’Oro al Valor Militare, morì vendicando il fratello deceduto esattamente un anno prima sul Carso. Il “Tempio ai Caduti del Basso Piave”, il “Monumento ai Battaglioni della Guardia di Finanza” e “Agenzia De Zuliani – Doria” sono le altre tappe sempre a Caposile. “Torre Caligo” ci conduce alle porte di Jesolo, chiamata allora “Cavazuccherina” e poi si “piega” in direzione di Cavallino Treporti dove si trovavano le batterie costiere e dove sono ancora le torri telemetriche che ne dirigevano il tiro.
Il nostro itinerario termina al faro di Jesolo, così chiamato da molti, anche se sorge nel comune di Cavallino-Treporti.
L’intero corso, dalle sorgenti a Portegrandi, è protetto dal Parco Naturale regionale del Fiume Sile.
Questa guida nasce dalla passione dell’autore per la storia, ed ha l’intento di riscoprire i luoghi che hanno fatto da sfondo agli anni terribili della guerra.
INTRODUZIONE
“Magnifica sera quella del 23 maggio 1915, notte stellata e con una luna splendente.
Il Brigadiere Castore mi comandò, come altre volte, di servizio di vigilanza al posto fisso di Visinale al ponte di confine di Brazzano sul fiume Judrio; ero in coppia con un richiamato di classe molto più anziano di me, il cagliaritano Costantino Carta.
La consegna ricevuta era molto chiara, non far uso delle armi poiché sparando al di là del confine, avremmo potuto causare il precipitare degli avvenimenti, anche se ormai tutto era deciso e domani la dichiarazione di guerra sarà consegnata all’Austria.
Alle ore 20.00, ora di inizio del nostro turno di servizio, ci spostammo ai nostri posti assegnati; io sotto il ponte e Carta sopra. Da qualche mese le sentinelle dei due territori avevano ricevuto l’ordine di tenersi ad una certa distanza, formando di conseguenza una linea di confine neutra; il ponte era di legno mentre le due testate erano in muratura. Sotto lo stesso scorreva l’acqua, limpidissima e profonda non più di cinquanta centimetri che segnava la linea di demarcazione tra i due popoli.
Potevano essere circa le 22 e 30 quando una trentina di soldati della territoriale e guardie di Finanza austriache cautamente si avvicinavano al ponte, giunti alla testata si divisero in due gruppi mentre alcuni scesero verso la scarpata con la chiara intenzione di minare il ponte. Per coprire l’azione dei sabotatori i due gruppi aprirono il fuoco contro di noi e nella gragnuola di colpi che fischiavano attorno a me, imbracciai il fucile e sparai verso l’austriaco che teneva in mano una piccola fiammella e che cercava di accendere la miccia.
Il primo colpo sparato andò a segno e l’austriaco stramazzò al suolo mentre gli altri soldati si dettero alla fuga.
Era l’alba del 24 maggio 1915”.
Questo è il riassunto di una intervista rilasciata l’11 agosto 1932 da Pietro Dall’Acqua e pubblicata su “L’Italiano” periodico della rivoluzione fascista del settembre del 1932.
L’episodio, che vede protagonista il finanziere Pietro Dall’Acqua, nato nel quartiere di Santa Bona di Treviso, è considerato il primo atto bellico o meglio il “primo colpo di fucile” sparato contro i soldati dell’Impero Austro-Ungarico all’alba dell’entrata in guerra del Regno d’Italia.
Fino a questo momento il Veneto era stato testimone passivo dei preparativi alla guerra, lunghe file di carriaggi, soldati, animali, armamenti e lunghe tradotte ferroviarie, attraversarono la regione per
dirigersi verso il nuovo fronte. I soldati del Regio Esercito si preparavano alle lunghe ed estenuanti battaglie dell’Isonzo.
A seguito della disfatta di Caporetto le nostre truppe ripiegarono fino a raggiungere il Piave dove si attestarono nei primi giorni del novembre 1917.
La città di Treviso divenne così centro nevralgico e strategico da difendere ad ogni costo in caso di rottura del fronte del Piave. Per questo motivo il Generale Cadorna, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, aveva già previsto una difesa della città attraverso un campo trincerato formato da più linee e difeso da reticolati, trincee e postazioni di mitragliatrici.
Nelle periferie di Treviso e tutta la linea del Piave sorsero comandi, italiani ed alleati, ospedali, depositi, campi di volo; un sistema posto in essere per contrastare prima, nel giugno del 1918, il tentativo Austro-Ungarico di passare il Piave e poi, nell’ottobre dello stesso anno per il riscatto italiano e la battaglia conclusiva di Vittorio Veneto.
La guerra per l’Italia terminò ufficialmente alle ore 15 del 4 novembre 1918 dopo quarantuno mesi di durissima lotta con brillanti risultati enunciati dal Generale Diaz nel Bollettino della Vittoria:
“Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12. La guerra contro l’Austria – Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.
La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita.
La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.
Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III^ Armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute.
L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni.
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.
Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il Generale Diaz»